mercoledì 18 giugno 2008

CO - JTT Forte Cherle

Non fa certo bene riprendere a scrivere sul blog, dopo un periodo di ozio informatico, e pensare di dover commentare una gara come quella che ho fatto domenica a Forte Cherle. Un'autentica Waterloo!
Avrei più piacere di soffermarmi su un piacevole e positivo Memorial Plancher o sull'intricata carta del Cansiglio dei campionati trentini. Una gara che mi ha lasciato delle pessime impressioni di incapacità orientistica, ma che poi alla fine non è stata poi così negativa come sembrava.
Mi soffermerei al limite su dei campionati italiani sprint corsi sotto il diluvio e compromessi da una rovinosa caduta sopra la bussola che ne è uscita peggio di me, oppure sulla gara del Passo Redebus condotta bene, se non fosse stato per una lanterna dapprima saltata, che ho dovuto recuperare risalendo un costone irto e scosceso.
In queste gare almeno una minima forma atletica e mentale c'era.
A Forte Cherle, invece, la gamba proprio non ne voleva sapere di girare e ne ho avuto le avvisaglie andando alla prima lanterna che ho raggiunto lungo un sentiero in discesa. Già là i miei arti proprio non erano capaci di correre. La testa nel contempo non connetteva proprio. Forse stressata dal pessimo esame istruttori fatto il giorno prima a Predazzo, in ogni caso sconnessa ed incapace di leggere la carta neppure nelle zone più elementari e meno tecniche.
Se il cocktail di gambe e testa, per giunta, mi abbandona in una gara talmente lunga che neppure Jonas, Rigoni e Tenani (il podio di giornata) riescono a stare sotto i 65 min + 10 di scostamento richiesti ad una MA long, beh allora sono

CAZZI ACIDI!


L'unico stimolo che mi ha permesso di arrivare al traguardo è stata la forza di volontà, una volontà che mi ha imposto di finire a tutti i costi la gara, costi quel che costi! E la crisi di ipotermia che mi ha preso al traguardo non mi ha certo aiutato. Con maglietta termica, maglione in lana, giubettino tecnico, giacca e giaccone e con una coperta a riscaldarmi riuscivo ad avere ancora freddo. Notare che ero dentro al caldo di un bar a sorseggiare un tea bollente.
Solo ora riesco a leggere sul sito della FISO il mio tempo di 2 h 55' 32''. Disastroso!
E degli intertempi non se ne salvano che un paio. La prima lanterna la raggiungo dalla strada (molti invece hanno giustamente tagliato in costa per il bosco e sono arrivati molto prima) e riesco pure ad andare lungo prima di accorgermi che ci si doveva fermare. I 4' persi sono comunque poca cosa se paragonati agli almeno 18' lasciati alla ricerca della tre. Uscendo dalla due scelgo il sentiero sbagliato e mi ritrovo in un avvallamento simile a quello in cui dovevo salire che imbocco fino in cima alla cresta. Un errore iniziale del quale non mi sono accorto a causa del parallelismo con cui salivano i due crestoni. Quando sono finito nella zona sassosa nella quale cercare una fossa rocciosa non tornava più nulla. E rilocalizzarmi ha richiesto un tempo interminabile.
Alla lanterna 5 invece non riuscivo più ad arrivare. In dislivello era molto elevato ed ho camminato per quasi tutto il tratto. Dopo aver perso del tempo a trovare una 6 imbucata in un avvallamento poco profondo, la 7 la trovo di culo. Andando dalla 8 alla 9 cerco di farmi trainare da una locomotiva che va sotto il nome di Piero Turra. Ma ci sono troppi cavalli in quel bolide e quando lo perdo devo fare i conti con la triste realtà di non sapere dove sono. Fortunatamente mi imbatto nella 10 e da questa poi riesco a risalire alla lanterna cercata. Incredibile poi come il mio 1' 20'' di pura corsa (forse sarebbe meglio dire corsetta) ad andare alla 10 lungo un percorso che conoscevo (lo avevo appena fatto infatti a ritroso per raggiungere la lanterna precedente) sia di molto superiore ai 57'' - 59'' dei migliori. A questo punto raggiungo la 11 con Cosimo e poi la 12 con Davide. Alla 13 ho l'unico sprazzo di lucidità della giornata. Correndo in un bel praterello orticante, alzo gli occhi al cielo più per la disperazione che per altro e scorgo una roccetta. Avendo appena passato un'altra fossa rocciosa (sembra quasi di essere nel carso tante sono queste fosse rocciose!) intuisco che potrebbe essere la mia. E così era infatti!
La 14 è interminabile e dopo aver cercato per un po' di tenere il passo del Davide (tipo 50 m) mi lascio andare ad una triste e lenta corsetta lungo il sentiero. La mia reazione quando a metà tracciato vedo Jonas scendere a valanga dal taglio nel bosco che aveva intrapreso per restare under the red line sono di assoluta non curanza. In altre occasioni mi sarei attaccato almeno per quei trenta metri che la mia vigoria fisica mi avrebbe concesso. Ma in questo caso ero già alla frutta. E di pietanze se ne dovevano ancora servire molte prima di raggiungere la sospirata 100.
Da qui il mio orientamento si fa un po' più preciso, almeno fino alla 19. E non potrebbe essere diversamente vista la maggior facilità dei punti e la mia estrema lentezza nell'incedere. Con la punzonatura della 19 però si entra nell'inferno, una zona estremamente variegata e ricca di particolari. In preda alla disperazione vedo sbucare alle mia spalle Massimo Bianchi che aspetto e seguo sperando di riuscire ad uscire da quel postaccio. Lui non mi sarà di grande aiuto, in quanto se ne fugge via subito. Fortunatamente però la vegetazione alta e le tracce che si sono formate con il passaggio dei concorrenti mi aiutano ad individuare i diversi punti di controllo, lasciando sui tre punti finali circa 12' di errore. Alla fine riesco ad uscire da quel luogo immondo e vado a punzonare stancamente prima la 100 e poi il finish. A questo punto mi verrebbe da collassare a terra, ma è troppo bagnato e freddo per lasciarsi andare. Meglio trovare riparo nella tenda rossa del panda e mettersi dei vestiti caldi ed asciutti. Tanti vestiti caldi ed asciutti perchè il freddo è veramente troppo.

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